Nuovi test del sangue per la diagnosi precoce dell’Alzheimer sono al centro di un acceso dibattito. A suscitare tale attenzione sono stati l’autorizzazione di un test ematico per l’Alzheimer da parte dell’agenzia statunitense del farmaco FDA e le notizie circa una possibile diagnosi “semplice” e “precoce” della demenza. Al contempo autorevoli riviste scientifiche internazionali mettono in guardia da un ricorso affrettato a tali test. L’Istituto di Medicina Generale e Public Health di Bolzano offre ora un fact-checking.

Che cos’è un test del sangue per l’Alzheimer?
La maggior parte dei test del sangue attualmente oggetto di discussione si concentra sui cosiddetti biomarcatori, associati alle alterazioni cerebrali tipiche della malattia di Alzheimer. “È fondamentale chiarirlo: questi test non diagnosticano la demenza, ma forniscono indicazioni su cambiamenti biologici che si riscontrano frequentemente nella malattia di Alzheimer”, spiega il Prof. Christian Wiedermann, Farmacologo Clinico e Coordinatore dei progetti di ricerca dell’Istituto di Medicina Generale e Public Health di Bolzano. “Tali test non sostituiscono né la valutazione clinica né i test neuropsicologici, né la diagnostica per immagini (tomografo PET, risonanza magnetica) o l’analisi del liquido cerebrospinale”, precisa il Prof. Wiedermann. Negli Stati Uniti, uno di questi test è stato autorizzato per l’impiego in persone che presentano già sintomi, in particolare una cosiddetta compromissione cognitiva lieve (vale a dire problemi percepibili di memoria, concentrazione o orientamento), ed esplicitamente non per soggetti sani privi di disturbi.
I test del sangue per l’Alzheimer sono adatti alla prevenzione nelle persone sane?
Un punto centrale dell’attuale dibattito specialistico riguarda l’erronea convinzione secondo cui i test del sangue per l’Alzheimer potrebbero essere utilizzati come una sorta di “esame di prevenzione” negli adulti sani. “Al momento non esiste alcun fondamento scientifico a sostegno di questa ipotesi. Nelle popolazioni prive di disturbi della memoria, o che presentano soltanto disturbi aspecifici, la reale frequenza della malattia di Alzheimer è bassa. Anche un test tecnicamente valido produce, in queste condizioni, un elevato numero di cosiddetti risultati falsamente positivi, ossia test che lanciano un allarme pur in assenza di una patologia di Alzheimer”, evidenzia il Prof. Christian Wiedermann. Gli studi dimostrano che, nelle popolazioni seguite dai Medici di Famiglia, solo circa una reazione positiva su cinque indica effettivamente la presenza di una patologia di Alzheimer. Al contrario, il test risulta soprattutto adatto come “test di esclusione”: un risultato nella norma rende infatti molto improbabile la presenza di una malattia di Alzheimer. “Per le persone sane, un esito anomalo non comporta quindi chiarezza, bensì incertezza, con la conseguenza di ulteriori accertamenti, un carico psicologico significativo e una possibile stigmatizzazione a lungo termine”, aggiunge il Prof. Wiedermann.
Diagnosi precoce: quali conseguenze ne derivano?
Un argomento spesso addotto recita: “Quanto prima si riconosce l’Alzheimer, tanto meglio è”. Si tratta di un’affermazione intuitivamente plausibile, ma valida soltanto laddove dalla diagnosi precoce derivino opzioni di intervento concrete e sensate. Attualmente le possibilità terapeutiche restano limitate. Nuovi approcci farmacologici possono forse rallentare il decorso della malattia, ma sono gravati da effetti collaterali, richiedono infrastrutture altamente specializzate e non risultano adatti a tutti i pazienti. Per le persone prive di sintomi non esiste alcuna terapia basata su evidenze scientifiche che possa essere raccomandata unicamente sulla base del riscontro di un biomarcatore. “Una diagnosi precoce priva di adeguati servizi di accompagnamento – quali consulenza, sostegno psicosociale e un’assistenza strutturata – rischia di arrecare più danni che benefici. Proprio i familiari riferiscono spesso sentimenti di sopraffazione, lunghi tempi di attesa e una carenza di supporto nella vita quotidiana”, asserisce il Prof. Wiedermann.
Questioni etiche: sapere a ogni costo?
Il dibattito sui test per l’Alzheimer non è soltanto di natura medica, ma tocca in profondità anche la dimensione etica. “La consapevolezza di un rischio aumentato di malattia può rappresentare per le persone interessate un notevole carico psicologico, soprattutto in assenza di opzioni terapeutiche efficaci. In una provincia di piccole dimensioni come l’Alto Adige sussiste inoltre il pericolo di stigmatizzazione, ad esempio in ambito lavorativo o familiare. Al contempo si pongono interrogativi di giustizia, poiché tali test sono spesso offerti in regime privato e finiscono così per avvantaggiare principalmente le persone con un reddito più elevato”, afferma il Prof. Wiedermann. Non da ultimo, incombe il rischio di una crescente medicalizzazione dell’invecchiamento, nella quale normali cambiamenti legati all’età vengono interpretati con eccessiva rapidità come malattia. “Dal punto di vista della medicina preventiva vale pertanto il principio secondo cui non tutto ciò che è tecnicamente possibile risulta anche medicalmente sensato ed eticamente appropriato”, sottolinea il Prof. Wiedermann.
Il ruolo della Medicina Generale in Alto Adige
Per i Medici di Famiglia i test del sangue per l’Alzheimer rivestono un ruolo chiaro, ma circoscritto. La Medicina Generale non è un “servizio di ordinazione” di esami, bensì una fondamentale istanza di filtro e di orientamento nel percorso di cura. Ciò significa, in concreto:
- nessun impiego dei test come esami di routine o prevenzione nelle persone sane;
- impiego – ove mai indicato – soltanto in presenza di chiari disturbi cognitivi e in stretto raccordo con strutture specialistiche (ad es. Memory Clinic);
- un’accurata informazione sui limiti del valore diagnostico dei test, in particolare in relazione al rischio di risultati falsamente positivi;
- tutela delle persone interessate da una sequenza di ulteriori accertamenti innescata da un risultato di test incerto. “I principali strumenti della prevenzione dell’Alzheimer risiedono tuttora nel trattamento coerente dei fattori di rischio modificabili: la pressione arteriosa, il diabete, l’attività fisica, la partecipazione alla vita sociale, la depressione, la riduzione dell’udito, la qualità del sonno, nonché il consumo di alcol e di tabacco”, illustra il Prof. Christian Wiedermann.
Persistenti lacune nelle evidenze scientifiche
Nonostante i rapidi progressi, permangono rilevanti lacune nelle evidenze scientifiche. Le carenze di seguito elencate non implicano che i test siano “pericolosi”, ma il loro impiego deve tuttavia avvenire con particolare cautela e in modo rigorosamente controllato:
- le conseguenze a lungo termine di un riscontro positivo di biomarcatori in persone che non presentano né percepiscono disturbi della memoria;
- le ricadute psicosociali di diagnosi di rischio formulate in una fase precoce;
- la valutazione del rapporto tra benefici e potenziali danni nell’ambito dell’assistenza primaria;
- le ripercussioni sui costi sanitari e sulle strutture di assistenza;
- strategie comunicative efficaci per prevenire fraintendimenti e interpretazioni errate.

Coordinatore dei progetti di ricerca dell’istituto di medicina generale e public health di bolzano.
Le conclusioni del Prof. Wiedermann
“I test del sangue per l’Alzheimer rappresentano un rilevante progresso scientifico, ma non costituiscono né un semplice esame di prevenzione né una panacea. Il loro beneficio è limitato a pazienti selezionati e sintomatici e presuppone una solida integrazione con strutture assistenziali specialistiche”, afferma il Prof. Christian Wiedermann, Coordinatore dei progetti di ricerca dell’Istituto di Medicina Generale e Public Health di Bolzano. Un impiego acritico nelle persone sane comporta rischi considerevoli, tra cui sovradiagnosi, insicurezza, disuguaglianze sociali e un inutile aggravio per il sistema sanitario pubblico. Secondo Wiedermann, una medicina preventiva responsabile implica pertanto la capacità di collocare le nuove tecnologie nel loro giusto contesto, di comunicare le aspettative in modo realistico e di concentrare l’attenzione su misure collaudate ed efficaci. “I test del sangue per l’Alzheimer non sono strumenti di screening per la popolazione generale e non sono indicati come esami di prevenzione nelle persone prive di sintomi. Chi nutre preoccupazioni per la propria memoria dovrebbe innanzitutto rivolgersi al proprio Medico di Famiglia. Non ogni test porta chiarezza: talvolta una buona consulenza rappresenta la migliore medicina”, ribadisce il Prof. Wiedermann.
Importante da sapere: I singoli articoli del blog dell’Istituto di Medicina Generale e Public Health di Bolzano non vengono aggiornati. Il contenuto si basa su ricerche e prove scientifiche disponibili al momento della pubblicazione. Le informazioni sanitarie online non possono sostituire un consulto medico personale. Le consigliamo di consultare il Suo Medico di Medicina Generale per eventuali problemi di salute. Ulteriori informazioni…